venerdì 20 novembre 2009

Venuto al mondo... a metà

Venuto al mondo… a metà

Esistono varie tipologie di scrittori, quelli che esplicitano per filo e per segno tutti gli aspetti e le sfumature del proprio racconto, e quelli che invece procedono per sottrazione, fidando sull'implicito ed il non detto. Il nuovo, fluviale romanzo di Margaret Mazzantini, Venuto al mondo, rientra nella prima tipologia, non solo e non tanto per la sua dimensione (più di cinquecento pagine), ma prima ancora per la vastità dei temi trattati e per la scrittura che li sostiene. Per dirla con parole semplici, c’è “troppa carne al fuoco”. Il temerario romanzo, racconta di cose del calibro della vita e la morte, la pace e la guerra. Gemma riceve una telefonata da Sarajevo, è un vecchio amico che le chiede di tornare in quella città che ha significato tanto per lei. La donna decide di affrontare il passato recandosi a Sarajevo insieme al figlio perché vuole che veda quella città in cui lei aveva conosciuto e amato Diego, quel padre che il ragazzo non ha mai conosciuto perché rimasto vittima indiretta della guerra che ha insanguinato la Bosnia. L’arrivo è la riapertura di una ferita. Il romanzo dovrebbe ferire, lacerare, sconvolgere, e denudare ogni falsa coscienza, insomma buttarci in mezzo al dolore senza offrire ripari. Ma ci riesce solo in parte; se solo fosse stato meno lungo, meno descrittivo, meno volutamente etico, forse… Il messaggio che ogni lettore alla fine porta con sé, dell’idea che anche dall’orrore possa nascere qualcosa, lo si deve alla vita che ce lo insegna. Gemma, descritta come una sorta di eroina, in realtà, appare come una figlia privilegiata dei nostri tempi, e suscita, a dire il vero, anche un po’ di antipatia e di rabbia, perché alla fine, risulta una donna grigia e mediocre, perché la sua disperazione per la sterilità, sembra dovuta più alla paura di perdere l’uomo che ama, che non alla gioia negata di avere un figlio. Il libro ci racconta una storia di guerra ma non aggiunge nulla a quanto mediamente noi italiani sappiamo, poco o nulla, degli eventi bosniaci di quegli anni. Né ci aiuta a conoscere meglio le popolazioni coinvolte. La dimensione dell’opera è oltretutto appesantita dai lunghi passaggi, meramente descrittivi, ed anche la storia d’amore appare abbastanza stereotipata. Non se ne può più della “ragazza di buona famiglia” che si innamora “dell’intellettuale vagabondo”! E’ un cliché troppo abusato. Il riscatto del libro risiede nella capacità di introspezione psicologica della Mazzantini, e nel finale in cui l'autrice aggiusta il tiro, ma soprattutto nella trattazione, assolutamente particolare, della figura paterna. E’ proprio il tema della paternità, per come viene sviluppato, che dà al romanzo un’interessante “lettura”. C’è il padre di Gemma, che nel silenzio funge da mentore di tutta la famiglia. C’è il padre assente di Diego, venuto meno al suo ruolo, perché morto giovane. C’è Gojko, l’amico bosniaco di Gemma, che decreta la fine dell'infanzia di Pietro, iniziandolo al mondo degli adulti, durante il viaggio a Sarajevo. E c’è Giuliano, il secondo marito di Gemma, colui che si è preso cura di Pietro senza esserne il padre biologico. Un’altra figura interessante del romanzo è Aska, una giovane bosniaca, che proprio come la Madonna, donerà a Gemma il figlio che lei non ha potuto dare alla luce, quel Pietro, senza padri, ma con troppi padri, che sembra assumere il ruolo di colui che riscatta, con la sua stessa esistenza, le colpe del mondo. Il principale difetto del libro è forse proprio il racconto della guerra, che non ha la forza di “arrivare” al cuore. Ed anche l’atto di denuncia verso la solidarietà “da salotto”, di chi, a pochi chilometri di distanza, ha permesso quel massacro, non è del tutto compiuto, perché chi ha in mano il libro non ne annusa le macerie, né scruta i volti, nè vive le emozioni, credendole proprie. Luigina Dinnella.
Margaret Mazzantini
Venuto al mondo
Arnoldo Mondadori Editore novembre 2008
529 pagine
20 euro

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