venerdì 20 novembre 2009

intervista a carlo verdone

Un malin-comico autore
Inqualificabile proprio per la sua unicità, Carlo Verdone è un regista ed un attore il cui umorismo è ampiamente velato di malinconia. Il suo repertorio di tipizzazioni è grottesco, ma mai volgare. I suoi personaggi sono il frutto di una grande capacità di osservazione comportamentale, degna di un antropologo raffinatissimo.
La incontriamo in occasione della proiezione di “Compagni di Scuola”, un film di oltre 20 anni fa, ma ancora molto attuale, grazie al tema della nostalgia e del ritrovarsi, così diffuso in tempi di Facebook.
Il suo film preannunciava una tendenza molto in voga oggi. Tutti sembra vogliano salvare la memoria. Ha precorso i tempi?
Trovo sia davvero patetico il tentativo di tornare ad essere quello che eravamo. Due anni prima di fare questo film ci fu una cena della mia classe del liceo, ci presentammo in 12 su 32, quello che mi rimase impresso di quella serata fu la grande tristezza. Mi ripromisi che non avrei partecipato mai più ad una cosa del genere. “Compagni di Scuola”, è uno dei miei figli più cari, è un film molto sincero che non strizza l’occhio al botteghino, anzi, Cecchi Gori mi buttò il copione appresso! È stato uno dei momenti più difficili della mia carriera, i critici dicevano: l’attore comico che si mette a fare l’autore! Volli farlo perché era arrivato il momento di tentare il salto di qualità, mi mancava la regia corale, e volevo mettermi alla prova raccontando diciotto tipologie di uomini e donne.
Lei ha raccontato i vizi e le virtù dell’italiano medio, ma qual è il vizio italico che più disprezza, e qual è la nostra migliore virtù?
Il non rispetto delle regole mi dà molto fastidio, per noi italiani è una cosa atavica. Fra le virtù direi la nostra genialità in extremis, invece dovremmo usarla in maniera più costruttiva. Anche l’ironia è fra le nostre doti, ma troppo spesso travalichiamo, come con la satira, che è giusta, ma quando ce n’è troppa l’effetto è esattamente contrario, non si ride più.
Ma in assoluto gli italiani le piacciono?
Presi singolarmente sì. Tutti insieme siamo sono come la Curva di uno stadio, quando la vedi da lontano ti fa paura, scappi, e dici: mamma mia!
Lei passa per essere un depresso e un ipocondriaco. Quanto c’è di vero in queste voci?
Io sono un malinconico. Anche se un medico di famiglia mi disse: ricordati Carlo che tu hai un fondo di depressione ma ci devi convivere, accetta questa piccola ansia e vai avanti… poi però mi prescrisse duemila medicine! Oggi me ne sono liberato abbastanza, le prendo solo per dormire, se no veramente non dormirei mai.
Si sente un “fannullone”?
Che Brunetta non ami molto la cultura l’abbiamo capito, ed ha anche una visione sprezzante del mondo dello spettacolo. E’ vero che il Fus (Fondo Unico per lo Spettacolo ) ha dato soldi anche a chi non li meritava, è vero che ci sono stati degli errori di valutazione, e delle raccomandazioni. Basterebbe rimettere le cose a posto in maniera seria. Se si abbandona il FUS non ci sarà un ricambio generazionale. Non ci sono molti produttori, in un momento come questo, con la capacità economica di far esordire uno nuovo. Se si taglia sarà sempre il vecchio ad avanzare.
Che ci dice di Sordi, al quale viene spesso accostato?
Non gli assomiglio affatto. Sordi è stato una maschera come Balanzone, Pulcinella e Rugantino, e le maschere non hanno eredi. Poi Sordi ha raccontato periodi importanti della storia italiana, la guerra, la ricostruzione, il boom economico, io mi devo barcamenare in film più intimi, con temi più piccoli, non meno importanti, ma meno cinematografici. Caratterialmente poi siamo completamente diversi. Sordi era simpaticamente cattivo, e piuttosto cinico. Io ho avuto l’onore di frequentarlo, e vi assicuro che era due persone distinte. Fuori era un sorriso per tutti, dentro casa era cupo. Il Sordi che piace a me è quello in bianco e nero, di “Mamma mia che impressione”, “Lo sceicco bianco” “I Vitelloni”; era l’attore più avanguardista che abbia mai visto, mi piaceva quando non aveva una impostazione, perché era spontaneo, ed aveva una rapidità di esecuzione delle battute formidabile. È un grande privilegio aver lavorato con lui e se faccio questo lavoro lo devo anche al fatto che mi ha fatto divertire nei cine club quando lo andavo a vedere. Io l’ho avuto in “Troppo forte”, e devo dire lì non mi è piaciuto perché imitava Oliver Hardy, purtroppo. In quel film ha accentuato i toni, forse avrà avuto paura di non far ridere abbastanza, invece era un po’ antiquato, a parer mio. Luigina Dinnella

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