venerdì 20 novembre 2009

Intervista a Roberto Vecchioni

14 Domenica 8 novembre 2009
di LUIGINA DINNELLA
L’intervista
Roberto Vecchioni racconta il cd “ In Cantus” La NORMALITÀ
della storia
“VECCHIONI è forse l'unico artista
italiano che può permettersi di vincere
il Festivalbar e di scrivere canzoni
raffinate, di riscrivere la storia
di Orfeo e Euridice, di citare Oscar
Wilde ed al tempo stesso di scherzare, cadere
di tono, frequentare la canzonetta
senza perdere lo spirito e la faccia”Questa
definizione di Ernesto Assante, noto critico
musicale, sintetizza la natura di questo
cantautore-professore la cui musica racconta
l'amore in forma lirica ma anche
ironica; nelle cui canzoni si trovano tracce
autobiografiche di sentimenti persi o
ritrovati, di occasioni non colte, di affetti
dimenticati, ma anche l'impegno politico
e sociale. Tutte emozioni autentiche raccontate
in una dimensione di sogno, di ricordo,
quasi di favola. Il nuovo album di
Roberto Vecchioni 'In Cantus', registrato
dal vivo nella piazza del Duomo di Spoleto,
è un coraggioso mix di sue celebri canzoni,
in versione orchestrale, e di arie classiche,
sulle quali il cantautore ha impresso
le sue parole. Generi diversi, uniti però
dalle stesse tematiche, come l'interrogarsi
sull'esistenza, sul divino e sull'amore
fra gli uomini.
Come è nata l'idea di In Cantus?
«Ho avuto voglia di cimentarmi in qualcosa
di diverso, pensando di dare parole a
pezzi immortali, senza distruggerli, senza
rovinarli, per far capire che Vivaldi, Rossini,
Puccini, hanno scritto arie che non hanno
tempo, e che non devono rimanere separate
in torri d'avorio. Ci ho provato, ed è stata
un'esperienza unica, bellissima. E' un disco
spartano nella sua semplicità, quasi
francescano. Ci sono cinque archi e un piano,
non c'è altro…non ci sono né batterie né
chitarre. E' un canto dell'uomo, con la sua
solitudine e le sue paure, la sua gioia e la
suafelicità, cheha una misura straordinaria
nel senso di chiedere, a qualcosa lassù,
perché non è tutta materia, uno straccio di
esempio che assomigli a un perdono o ad
un'accettazione. E' un canto di orgoglio di
se’ stessi, ma anche del piacere di ascoltare
una voce dentro che ci dice che non siamo
soli. In questo senso, il sogno credo che sia
la cosa più grande che ci accomuni alla
grandezza di un insperato ma possibile
Dio».
In questo disco sembra che lei si metta
in gioco con l'entusiasmo di un ragazzo;
assomiglia all'uomo che si gioca il cielo a
dadi.Maè ancheundisco nel quale si vede
la saggezza degli anni!
«E' un disco chemanda messaggi culturali
essenziali, che grazie alla forma artistica,
passano prima ed in maniera più incisiva.
Le mie canzoni spesso usano un linguaggio
ermetico, un po' surreale, questo
disco è più semplice. Non ci sonometafore
né allegorie. E' un disco positivo, realista,
che parla di amori normali e felici, di amori
distruttivi, di persone che si guardano e si
innamorano per la prima volta. Io non ho
mai scritto storie così “normali”, anche
questa è stata una sfida. Non c'è e non vuole
esserci un insegnamento,
ma soltanto un motivo di riflessione:
che siamo tutti
uguali in questa normalità e
tutti cerchiamo uno sfogo,
una luce».
Come si è orientato nella
scelta dei brani?
«Volevo parlare di Dio ed
ho scelto, fra le mie canzoni,
sia “Le Rose blu”, che “Viola d'inverno”; le
altre le ho scelte per fare una specie di intermezzo
da opera buffa, per far vedere come
con gli archi si può fare anche rock, e quindi
“Voglio una donna”, e “Milady”. Le arie
classiche le ho scelte fra le melodie che
amavo, e fra quelle la cui musica mi suggeriva
di parlare dell'uomo».
Lei èun autore, quanto snobismo c'è in
questa definizione?
«De Andrè ci lasciato una testimonianza
eccezionale, dicendo che bisogna accettare
il bello nella sua semplicità e nella sua complessità
comunque venga, basta che sia vero.
E io sono d'accordo con
lui. Ci sono tante schifezze
nella canzone cosiddetta intellettuale
e tanti orrori nelle
trasmissioni cosiddette intelligenti,
così come ci sono cose
belle nelle trasmissioni e nelle
canzoni popolari. Odio gli
snob e tutti coloro che si sentono
dei Re. L'importante è
comunicare. Grazie a questo disco ho avuto
il piacere immenso di lavorare con i più bravi
musicisti di musica sinfonica in circolazione,
erano di una umiltà pazzesca. Mi sono
detto: che bello sentire dei grandi musicisti
che hanno addirittura un senso di deferenza
verso qualcosa che stimano... a differenza
di quanti vanno in giro, e alla prima
canzone che cantano, si sentono degli
Dei!
Oggi è tutto così, il primo che ha un attimo
di ascolto, il primo che ha le basette più
lunghe o la gonna più corta pensa di aver
per forza diritto ad avere successo. Il successo
non è una cosa né di
quantità, né di qualità, ma
ha a che fare con la sensibilità.
Quando sono in concerto e
3000 persone mi parlano con
il loro silenzio, èunsuccesso
grande, non me ne frega
niente chenon siano 100 mila;
certo è bello anche quello,
non sono come la volpe e l'uva, però l'importante
è questa commistione, questo sentirsi
sulla stessa lunghezza d'onda, capire
quali sono i valori veri, perché è la verità il
senso fondamentale della ricerca che facciamo.
Detto ciò, penso comunque che abbiamo
la canzone d'autore più bella al mondo,
ma adoro la canzone popolare. Voglio
molto bene alla Pausini, ad Elisa, e penso
chenon ci sia bisogno di essere colti o stravaganti
per essere bravi».
Lei è sempre stato vicino ai giovani, da
insegnante e da cantautore.
In cosa li trova cambiati rispetto alla
sua generazione, e quale crede sia il male
di cui soffrono?
«Nella società in cui viviamo i più deboli, i
più insicuri e i più scoperti all'inganno sono
i ragazzi, perché subiscono nella loro
gioventù, nella loro ingenuità e nella loro
bontà, i valori assurdi che questo momento
storico e culturale ci offre.
La tv gli sbatte in faccia sentimenti retorici
e facili da accettare, che loro credono
veri, e invece sono delle mascherature. Io
sono triste per un sacco di ragazzi che non
sanno discriminare, e che si lasciano indurre
in continua tentazione, in continua
fregatura dalle sirene televisive, da quelle
del successo o della facilità.
E' un peccato enorme, perché noi in Italia
abbiamo ragazzi di grande intelligenza e
potenzialità. Dovremmo fare dei debiti per
aiutarli! Ci vorrebbe una scuola e un'educazione
che togliesse soldi a chi debiti crede di
non averne, ma ne ha molti, per aiutare l'Italia
ad essere quella dei giovani che credono
in qualche progetto, e credono anche
nella cultura, perché l'operazione più intelligente
che possa fare uno Stato non è quella
di dare fiducia a chi sicuramente lo può
rifondere, ma è quello di rischiare. Tutte le
nazioni civili rischiano.
Se non hai il coraggio di rischiare sui ragazzi
non sei una nazione, se spendi tutto
quello che hai per far vendere robicciatole,
non sei una nazione! Una vera nazione fa i
debiti, e pensa che fra 10 o 20 anni tutto
questo le ritornerà, perché crede nella propria
gioventù, e non c'è gioventù che non
meriti, e non c'è gioventù migliore di quella
italiana. Il male di cui soffrono i giovani
credo sia la paura del tempo morto, forse
perché nessuno gli ha insegnato a riempirlo
con pensieri personali, con l'immaginazione,
con i sogni.
Anche se credo che l'immaginazione
sia un dono, qualcosa
che forse non si può insegnare,
ma è quella che ci fa
sopravvivere, non dobbiamo
abortirla, ma considerarla
come una delle cose più importanti
della nostra vita,
perché ci stimola alla sfida, a
non essere sempre uguali, a
cercare sempre dei ruscelli diversi che ti
portino al fiume. Che poi è il vero senso della
vita, visto che di anni ce ne sono pochi.
Si deve evitare di fare sempre le stesse cose,
bisogna tentare di cambiare tutto, perché
vale sempre la pena di mettersi in discussione
».
«Oggi
è così: il primo che ha un attimo di ascolto
che ha le basette più lunghe o la gonna più corta
pensa di aver per forza diritto ad avere successo»
«Vivaldi e Rossini
hanno scritto arie
senza tempo»
«I ragazzi
hanno paura
del tempo morto»

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