martedì 21 ottobre 2008

Toni Servillo... grande!

Sipario… è di scena Toni Servillo
Sono bastati pochi film per farne l’attore del momento. Certo, per Toni Servillo suona un po’ come una beffa, visto che sono 30 anni che calca le scene dei teatri di tutta Italia. Ma lui è un uomo che proprio grazie alla pratica del palcoscenico ridimensiona la febbre del successo che lo sta avvolgendo, e forse proprio per ribadire gli anni di lavoro, ha “trasferito” i suoi segreti d'attore e la sua esperienza, in un libro-intervista, dal titolo “Interpretazione e creatività”, scritto a quattro mani con il critico teatrale Gianfranco Capitta. Il Libro è una straordinaria lezione sul mestiere dell’attore, racconta del successo raggiunto a 50 anni, del suo rapporto con i registi, della sua passione per il teatro, e del suo essere “napoletano”, oltre a ribadire che il mestiere è fatto di fatica e disciplina, che attore non si nasce ma si diventa; e se lui lo è diventato è merito della quotidiana applicazione, di grandi maestri, di una città come Napoli e soprattutto, come diceva Eduardo, di un'ottima salute. C’è molto Eduardo de Filippo nella sua carriera, ma lei non l’ha né imitato né scimmiottato, ha inventato un modo personale di farlo. E’diventato attore con lui? Scelsi di lavorare sul teatro di tradizione napoletano, perché ritenevo una grande opportunità per un attore nato in quelle latitudini, recitare avendo a disposizione una lingua calda e materna, invece che l’italiano imparato sui libri di scuola, o peggio ancora dalla televisione. Ho preferito lavorare su una drammaturgia legata al palcoscenico e meno alla letteratura. Poi, se uno vuole fare l’attore è meglio nascere a Napoli che a Rovigo! Si può essere attori a qualsiasi latitudine, ma nascere lì, ti dà una bella mano, anche perché i napoletani hanno quello che qualche antropologo ha definito, un “comportamento sociale recitato”. Ma bisogna anche sapersene difendere, perché non c’è cosa più orrenda di un attore napoletano manierato. Il napoletano contiene in se, per carattere, il paradosso dell’attore, cioè uno che si abbandona ai sentimenti, ma dopo qualche minuto se ne ritrae completamente, oppure ti dice una cosa, ma dal modo in cui te la dice ti sta dicendo esattamente il contrario. Come si passa dal teatro al cinema all’opera? Rifugge da me qualsiasi dimensione di compiaciuta ecletticità. Io sono un attore, ce l’ho anche sulla carta di identità! È il lavoro nel quale mi riconosco, e lo sono anche all’interno della regia. Mi sento come un primo violino in una sezione di archi; concerto una partitura nella misura in cui il primo violino ha una strategia di attacco nell’interpretazione di quella partitura, ma che poi è aperta, condivisa, e soprattutto scoperta nella prassi esecutiva. Nel mio lavoro c’è un triangolo d’amore, erotico, fra il testo il pubblico e l’attore, un po’ moglie, marito e amante. Cerco di rendere contagioso il mio entusiasmo. Che differenza c’è nell’essere attori nel cinema? Per quel poco che ho capito… a teatro un attore è totalmente padrone e responsabile dell’armonia esecutiva di quello che fa. E’ lui che detta le tinte ed i modi. Nel cinema, il regista pensa al film prima che tu attore ne abbia consapevolezza, fa il film con te, ma poi se lo porta a casa e lo monta. Un attore può illuminare una parte del film, come una lampada può illuminare una superficie in una stanza. Al cinema è importante la posizione che occupi nella complessità del film, hai un ruolo, come il centrocampista a calcio… riesci bene quando conosci esattamente all’interno di quella sceneggiatura e di quell’idea di cinema che ha il regista, qual è il tuo ruolo. Attori si nasce o si diventa? Non si nasce né attori né qualcos’altro… il mestiere che fai è il risultato di tutte le altre ipotesi che hai sottratto alla vita. Non credo alle vocazioni, detesto chi dice: “Io sono Amleto”, ma quale Amleto! Non c’è una chiamata… è ridicolo dire: “lo sapevo da bambino che avrei fatto questo”! O quelli che dopo una recita, dicono: “Stasera Dio era con me!” Come se Dio quella sera si occupasse di un cretino che recita, e non avesse ben altri problemi da affrontare! Nel libro fa tenerezza il racconto di quando da ragazzo guardavi le commedie di Eduardo… La mia è una famiglia numerosa, e guardare il teatro di Eduardo in televisione tutti insieme, era una specie di rito. Io sonnecchiavo sulla sedia, ma nel dormiveglia mi accorgevo che quei bislacchi, quegli ignavi così ben rappresentati da Eduardo, in realtà erano uguali ai parenti che avevo alla spalle. Lì ho sentito per la prima volta quella dolce ferita che è il confine fra vita vissuta e vita rappresentata. Siamo una famiglia di magnifici spettatori, ed è un esercizio che non ho mai smesso di praticare, questo forse mi ha aiutato ad abbattere molti limiti del mestiere come la vanità e l'esibizionismo. Come è diventato l’attore feticcio di Sorrentino? Mi ha cercato lui, e, come ho detto già altre volte, penso che Paolo si è innamorato un poco, perché non saprei come spiegarlo diversamente. Perché se uno poi si fissa… è amore! Lavora spesso con registi più giovani, è solo un caso? Sì, ma devo dire che mi amo le opere prime, si respira una atmosfera un po’ aurorale, di affascinante sfida. Due Servillo artisti, lei e suo fratello Beppe, leader degli Avion Traverl. Che rapporto avete? Magnifico, e non siamo la famiglia di Al Capone però! Collaboriamo spesso. In “Lascia perdere Johnny” di Fabrizio Bentivoglio, e lo dico senza falsa modestia, mio fratello è molto più bravo di me… ma anch’io canto molto meglio di lui… In “Gomorra” è un camorrista. Ha avuto conflitti emotivi nell’accettare il ruolo? Assolutamente no. Conoscevo il libro di Saviano e Matteo Garrone; ho amato profondamente i suoi film. Quando è arrivata la proposta di Gomorra l’ho accettata subito, era troppo bella. E’ stato un motivo di orgoglio che fossi proprio io di Caserta a recitare un personaggio così. Le racconto un fatto… quando porto la spazzatura nella differenziata, mi vedo intorno una quantità di ragazzini con i cellulari che dicono: “tu fai la differenziata!” e ridono. Per loro in quel momento, non sono Toni, ma Franco, il personaggio del film, che fa la differenziata! Lei capisce… può essere educativo!

venerdì 17 ottobre 2008

alcune riflessioni sulla legge Gelmini

alla manifestazione ci sarò, anche se credo che non sia la partecipazione a fiaccolate o cortei che risolva le questioni. Io ho da lungo tempo detto gridato a gran voce contro questo governo, e contro i suoi illustri membri, non perché ritenga che chi li ha precedduti sia poi immune da colpe, ma perlomeno lo scempio a cui stiamo assistendo, ahimè inermi o quasi, è tale che qualcosa bisogna assolutamente fare. Io sono per una risposta in termini più "forti", non dico che bisogna passare alle bombe e ai colpi di stato, ma questi li vedo ben saldi sulle loro sedie, grazie anche al "popolo", mai così privo di occhi e di orecchi... per inciso, oggi ho appena scritto una recensione su un libro che parla della situazione italiana fra il maggio e l'agosto del 1945, si parla di un paese prostrato dalla fame e dalla guerra, che ha saputo rialzarsi e creare i presupposti per una paese civile, per libere istituzioni e quant'altro. Quello che più offende infatti di questa tremenda situazione di oggi, è proprio questo, che stiamo infangando anni di lotte che i nostri avi hanno combattutto per fare in modo che tutti avessimo l'indispensabile, la possibilità di accedere alla cultura tutti, come prima cosa. Se non altro dobbiamo evitare che il loro sangue sia stato dato invano! Baci a tutte, Gina.

alcuni dei miei articoli

Los Angeles incoronerà con l'Oscar il nostro Gomorra?Pubblicato in: Cinema di Luigina Dinnella - 14 Ottobre 2008
Dopo il trionfo al Festival del Cinema di Cannes, si è parlato, per l'ennesima volta, di una nuova stagione del cinema italiano, dato più volte per morto. Il merto è di "Gomorra",record di incassi al botteghino, ed oggi anche il candidato italiano selezionato per la corsa all'Oscarcome miglior film straniero. Quando lo incontriamo alla Casa del Cinema di Roma, in occasione di una retrospettiva a lui dedicata, questa notizia deve ancora arrivare. Garrone è un po' imbarazzato dalnumerosissimo pubblico accorso per conoscerlo meglio. Certo è grazie a Gomorra che tra qualche mese potrebbe aggiudicarsi la statuetta, ma Garrone non nasceoggi, aveva già fatto vedere grandi cose.Solo oggi la critica e pubblico sono stati sulla stessa linea, premiando il coraggio di fare un film difficile, tratto da un libro forte come quello di Saviano. Era una scommessa a rischio. Lui ci ha creduto; ha avuto fiducia nel paese e nelpubblico, che non è composto tutto da sciocchi, ed ha vinto, perché quando il cinema è fatto bene e parla di temi cari a noi tutti, la nostra coscienza civile e civica non può rimanere inerme.
Gomorra sta girando il mondo, ma cos'è per te questo film oggi? E' il mio film più difficile, sia per la difficoltà del progetto sia per i luoghi dove abbiamo girato. E' stato un progetto impegnativo; Gomorra rappresenta due anni della mia vita ed un'esperienza umana straordinaria. E' stato un viaggio duro ed emozionante. Ci spiega come è riuscito a romanzare un libro che è una sorta di saggio? Il libro non ha una trama vera e propria, ma ha un grande potenziale “visivo”, che ho cercato di sfruttare. Non c'era drammaturgia, ma è questa la forza di questo libro. La trama l'abbiamo inventata noi, estraendo dal libro le storie, fra le tante, che ci sembravano più interessanti, facendo delle scelte, sofferte, ma indispensabili.Da dove parte il tuo lavoro quando decidi di fare un film? Comincio sempre dai luoghi, li visito e li interrogo; la stessa cosa faccio con le persone, è sempre da lì che parto. Volio che l'attoreviva il percorso drammaturgico del personaggio, è da questopercorso che nascono molti suggerimenti ed idee. Io tradisco spesso la sceneggiatura, ed anche nella fase del montaggio rimetto in discussione tutto. Spesso, dopo il montaggio torno a girare. Qual è la parte che ti piace meno del tuo lavoro?Viaggiare per promuovere il film, come sto facendo adesso… e non solo perché ho paura dell'aereo. Con Toni Servillo com'è andata? Benissimo, non poteva essere altrimentiquando lavori con attori della sua intelligenza puoi fare tutto! Siamo diversi, lui è molto rigoroso, preciso, un grande attore. Toni quando è venuto sul set il primo giorno, conosceva già tutte le battute a memoria, temeva l'improvvisazione! Poi ha capito che neanche io amo improvvisare, ma do loro un percorso drammaturgico che devono vivere, e poi spero che all'interno di questo percorso accada qualcosa che li sorprenda, perché se loro si sorprendono mi sorprendo anch'io. Il suo successo a Cannes, insieme al collega Sorrentino, è stato definito per l'ennesima volta come il segno della rinascita del cinema italiano. Qual è la sua opinione.Tutti, ciclicamente, si riempiono la bocca sulla rinascita o sulla morte del cinema italiano, sempre con eccessiva ridondanza. Io credo che siano solo cicli fisiologici. Cosa le preme di più trasmettere con il suo cinema? Non voglio portare in scena la realtà, ma trasfigurarla, farla andare verso l'astrazione. Non so se ci riesco, e non posso spiegarlo, perché è legato alla percezione di ognuno di noi. Voglio che la mia mano sia invisibile, non ci si deve accorge del lavoro che c'è dietro, perché se lo spettatore se ne accorge, vuol dire che non sono stato bravo, perché sono diventato io protagonista, e non deve essere così.