martedì 16 dicembre 2008

Gabriele Salvatores :un gradito ritorno

Al cinema un grande ritorno: Gabriele Salvatores
Gabriele Salvatores, grazie al suo nuovo film, “Come Dio comanda”, nelle sale dal 12 dicembre tornerà ai successi dei suoi primi film, ne siamo certi, perché la sua ultima fatica è un film forte, ma molto intenso, che ci fa soffrire, ma che si fa amare. Il film è tratto ancora una volta, dopo “Io non ho paura”, da un romanzo di Niccolò Ammaniti, il loro è ormai un sodalizio artistico efficace, forse perché Salvatores riesce a dare un’anima umana ai suoi cupi romanzi. L’attenzione è ancora una volta puntata sul difficile rapporto padre-figlio. E’ la storia di tre persone, che, citando De Andrè, “hanno preso la cattiva strada”. C’è un padre disoccupato, nazista e violento, interpretato da Filippo Timi, un figlio adolescente, tirato su a pane e violenza, e un amico, uno straordinario Elio Germano, un po’ fuori di testa. L'impianto del film è, per ammissione dello stesso Salvatores, Shakesperiano, perché c’è un re-padre; un figlio principe adolescente, un buffone amico di famiglia, un bosco, e soprattutto una tempesta che travolge tutto e dalla quale tutti escono trasformati. E’ un drammatico affresco sociale, ma la concentrazione di Salvatores si concentra soprattutto sulla dimensione quasi ancestrale di questo rapporto padre e figlio. E’ un film che racconta la violenza e la solitudine; volutamente duro, come è dura e difficile la vita delle persone che sono state prese a schiaffi dalla vita, e vivono collocate ai margini della società.
C’è un padre disoccupato e violento che educa il figlio dodicenne a pane e violenza. Un modello educativo assolutamente non condivisibile, però lei lo affronta con molta pietà umana, forse perché questo padre è comunque migliore di molti papà “a modo”?
Sì è vero, è detestabile per quello che dice e fa, però è presente e responsabile. Oggi la crisi dei ruoli, soprattutto quella del padre è fortissima, è stata messa in discussione negli anni ’70 ma mi pare che non sia stata sostituita con nulla. Molti sfuggono al ruolo di educatore. Non si può dire a un figlio, “fai quello che vuoi” , come in nome di una presunta libertà, troppi padri fanno. Questo padre dice delle cose che mi dà fastidio persino ripetere, ma gli invidio il senso di amore e di responsabilità.
Lei che tipo di genitore è con i suoi attori?
Uso il calcio, che amo molto, come metafora… Faccio molto spogliatoio. Pochi ciak, ma curo molto quello che c’è fuori dal set. Vivo molto insieme a loro durante il film. Poi quando i film girati fuori dalla tua città, diventa particolarmente interessante, perché le tue abitudini scompaiono e ne devi trovare altre, magari insieme alla troupe.
Le ambientazioni di questo film, un Friuli desolato e aspro, non sono affatto decorative, non sono delle cartoline, insomma non stanno lì per caso, ma hanno un ruolo nella storia.
Ho scelto con molta attenzione i luoghi, anche perché credo che in qualche modo la natura che ci circonda ci condizioni il carattere. Abitare in luoghi così, ti cambia. Sono posti difficili, dove c’è una solitudine legata anche alla conformazione geografica del posto. Questa storia, per essere raccontata, aveva bisogno di una natura forte, pronta a riprendersi quello che l’uomo gli ha strappato, pronta a rompere gli argini e a travolgere tutto. Così come succede ai protagonisti del film nella notte in cui, si scatenano sia le forze della natura, sia quelle dei sentimenti. Si trasformano, e si riscoprono diversi, cambiati da quella tempesta, che è metafora delle tempeste della vita.
Nel film c’è molta musica, e 35 minuti senza parole, di cui probabilmente si parlerà molto.
La musica non è stata scritta a film fatto, ma prima. Volevo farmi influenzare, non usala per vestire meglio il film. I 35 minuti senza parole, sono il momento clou del film, li ho voluti per allontanarmi anche da una idea di televisione…
Il film è girato con molta telecamera a spalla e l’uso di piani sequenza. Perché questa tecnica?
Mi piaceva l’idea di andare sui personaggi in maniera intima, seguirli e spiarli. Volevo che recitassero con tutto il corpo, che fossero, il più possibile, reali.
Ci svela un trucco? Come fa a girare film decisamente più belli dei romanzi dai quali sono tratti?
Credo che l’unione con Niccolò sia proficua proprio perché lui è diverso da me, così come lo è la sua generazione. Lui è un po’ cinico, io molto meno… Ecco lui ha quello che io non ho, e viceversa. Con “Io non ho paura”, che secondo me è un romanzo molto bello, mi sono detto: speriamo di fare un film altrettanto bello. Qui è diverso, non so se sia più bello il film o il romanzo, perché sono molto diversi fra loro, io diciamo, ne ho preso un pezzo…

Raccontare la vita di chi non è né figo né chic, vuol essere, da parte sua, una sorta di vaccino contro il disprezzo per certe categorie di persone, visto che ultimamente nei film italiani si raccontano troppo spesso i “borghesi” nello loro belle case?

Non so se il film funziona come un vaccino… sarebbe bello, ma non credo che un film, da solo, sia in grado di fare questo. Può aiutare a riflette però, ed è certamente uno dei motivi per cui lo abbiamo fatto.

Lei è stato etichettato molti anni fa, come regista generazionale, come quello che raccontava la fuga… I suoi erano film teneri, delicati. Oggi è passato a raccontare storie “forti”. Non sarà che la durezza e la cattiveria alzano l’audience?
Un po’ è vero quello che dice, però a me piace molto ridere, ma a un certo punto è successo che non mi è venuto più tanto da ridere! Poi vede, io, al quarto film ho vinto un Oscar, e mi sono chiesto se fosse giusto, se sapevo fare cinema. La mia risposta è stata no, con quattro film non era possibile che lo sapessi già fare, e allora diciamo che ho voluto usare il potere, diciamo pure, che ti dà l’oscar, per fare cose che prima non mi avrebbero mai fatto fare. E’ stata una gara con me stesso. Ma prometto che tornerò presto a fare cose più divertenti. Mi piacerebbe raccontare la vita di tutti i giorni con un sorriso, questo sì. Comunque le storie drammatiche, in realtà, fanno meno audience, però è vero che “lisciano” il tuo pelo di autore!

giovedì 20 novembre 2008

dal blog di noicittadinilucani

Corruzione, ricatto, sopraffazione. E ancora: ignoranza, povertà, menzogna. Sono questi solo alcuni dei cento modi per dire taci che il governo Berlusconi sta reinventando, o più semplicemente riesumando, per realizzare nel più rapido dei modi il suo progetto di democrazia apparente all’interno del quale non può che rimanere muro portante un sistema di informazione autoprodotto, autogestito ed autopromosso capace di fabbricare notizie dal nulla e scodellare opinioni precostituite idonee ciascuna per le più diverse occasioni. Da quando il nuovo Governo si è insediato abbiamo visto sparire, ma solo dai notiziari, la spazzatura della Campania, l’immigrazione clandestina, l’inefficienza del pubblico impiego, la violenza sessuale sulle donne, il bullismo, persino la prostituzione. Sono comparsi, invece, i numeri di sondaggi e statistiche che, in questa buia parentesi mondiale, di tanto in tanto ci rassicurano sul buon andamento della politica economica del governo, sulle manovre di Tremonti, sulle politiche giovanili della Meloni, sulle prodezze di Brunetta. Sparito è pure il tesoretto di prodiana memoria, sostituito, però, prontamente dal miraggio di detassazioni e di aiuti alle famiglie che già quasi ci sembra di toccare con mano. Spariscono per dovere di maggioranza anche le morti per leucemie e cancro da superati limiti di inquinamento e si attenuano, dove proprio la magia d’annullamento non riesce, anche le polemiche per le morti bianche e per il mancato rispetto delle più elementari norme di sicurezza nei luoghi di lavoro. Ritornano le stragi e gli omicidi laddove protagonista è la follia e il dramma è tutto e squisitamente personale; si spengono, invece, le luci della ribalta sulle grandi inchieste che coinvolgono le nomenklature, sui numeri delle proteste, su quelli della povertà. In questo sistema, in cui tutto ciò che non appare non esiste, l’invito a tacere non si concretizza nelle parole, ma nelle azioni, nel fragore dell’ingiustizia seguita dall’annullamento nel silenzio dell’informazione o nelle interpretazioni barocche dei fatti che si fanno assordanti nel tam tam dei media. E’ un modo di dire taci il fantasma del licenziamento per gli operai che chiedono più sicurezza; è un modo di dire taci l’assoluzione dei veri responsabili delle violenze alla Diaz; è un modo di dire taci l’allontanamento dei magistrati scomodi; è un modo di dire taci anche il non allontanamento dei magistrati comodi; è un modo di dire taci la minaccia di chiudere l’ILVA di Taranto come unica soluzione all’aumento di diossina; è un modo di dire taci il cinque in condotta agli studenti; è un modo di dire taci il taglio dei fondi alla scuola e all’università pubblica; è un modo di dire taci rendere impossibile la gestione della famiglia per le donne che lavorano; è un modo di dire taci persino la carineria sull’abbronzatura di Obama.
L’elezione a tradimento del senatore Riccardo Villari alla presidenza della commissione di Vigilanza Rai è un altro modo di dire taci ed è per questo che non ci si può lasciare ingannare dal solito semiridente Cicchitto che chiama eversione la lotta per la salvaguardia dei principi della democrazia. La tenace opposizione di Antonio Di Pietro (anche questa arrangiata e suonata in sordina dagli embedded del sistema informativo) e la sua apparentemente immotivata testardaggine nel non volere concedere nulla a chi - la maggioranza - nulla aveva diritto a pretendere è riuscita comunque a portare come risultato l’ennesima dimostrazione di come la democrazia in Italia stia pericolosamente vacillando e, soprattutto, di quanto si debba tenere alta la guardia proprio nella garanzia di una informazione il più possibile corretta e libera. Se corretta e libera, infatti, l’informazione è madre della partecipazione e la partecipazione, a sua volta, della vera democrazia. In fondo giustizialista ed eversivo sono altri modi per dire taci. Anna R.G. Rivelli

date un'occhiata... qui si che c'è gente vera...

http://www.noicittadinilucani.ilcannocchiale.it/

martedì 21 ottobre 2008

Toni Servillo... grande!

Sipario… è di scena Toni Servillo
Sono bastati pochi film per farne l’attore del momento. Certo, per Toni Servillo suona un po’ come una beffa, visto che sono 30 anni che calca le scene dei teatri di tutta Italia. Ma lui è un uomo che proprio grazie alla pratica del palcoscenico ridimensiona la febbre del successo che lo sta avvolgendo, e forse proprio per ribadire gli anni di lavoro, ha “trasferito” i suoi segreti d'attore e la sua esperienza, in un libro-intervista, dal titolo “Interpretazione e creatività”, scritto a quattro mani con il critico teatrale Gianfranco Capitta. Il Libro è una straordinaria lezione sul mestiere dell’attore, racconta del successo raggiunto a 50 anni, del suo rapporto con i registi, della sua passione per il teatro, e del suo essere “napoletano”, oltre a ribadire che il mestiere è fatto di fatica e disciplina, che attore non si nasce ma si diventa; e se lui lo è diventato è merito della quotidiana applicazione, di grandi maestri, di una città come Napoli e soprattutto, come diceva Eduardo, di un'ottima salute. C’è molto Eduardo de Filippo nella sua carriera, ma lei non l’ha né imitato né scimmiottato, ha inventato un modo personale di farlo. E’diventato attore con lui? Scelsi di lavorare sul teatro di tradizione napoletano, perché ritenevo una grande opportunità per un attore nato in quelle latitudini, recitare avendo a disposizione una lingua calda e materna, invece che l’italiano imparato sui libri di scuola, o peggio ancora dalla televisione. Ho preferito lavorare su una drammaturgia legata al palcoscenico e meno alla letteratura. Poi, se uno vuole fare l’attore è meglio nascere a Napoli che a Rovigo! Si può essere attori a qualsiasi latitudine, ma nascere lì, ti dà una bella mano, anche perché i napoletani hanno quello che qualche antropologo ha definito, un “comportamento sociale recitato”. Ma bisogna anche sapersene difendere, perché non c’è cosa più orrenda di un attore napoletano manierato. Il napoletano contiene in se, per carattere, il paradosso dell’attore, cioè uno che si abbandona ai sentimenti, ma dopo qualche minuto se ne ritrae completamente, oppure ti dice una cosa, ma dal modo in cui te la dice ti sta dicendo esattamente il contrario. Come si passa dal teatro al cinema all’opera? Rifugge da me qualsiasi dimensione di compiaciuta ecletticità. Io sono un attore, ce l’ho anche sulla carta di identità! È il lavoro nel quale mi riconosco, e lo sono anche all’interno della regia. Mi sento come un primo violino in una sezione di archi; concerto una partitura nella misura in cui il primo violino ha una strategia di attacco nell’interpretazione di quella partitura, ma che poi è aperta, condivisa, e soprattutto scoperta nella prassi esecutiva. Nel mio lavoro c’è un triangolo d’amore, erotico, fra il testo il pubblico e l’attore, un po’ moglie, marito e amante. Cerco di rendere contagioso il mio entusiasmo. Che differenza c’è nell’essere attori nel cinema? Per quel poco che ho capito… a teatro un attore è totalmente padrone e responsabile dell’armonia esecutiva di quello che fa. E’ lui che detta le tinte ed i modi. Nel cinema, il regista pensa al film prima che tu attore ne abbia consapevolezza, fa il film con te, ma poi se lo porta a casa e lo monta. Un attore può illuminare una parte del film, come una lampada può illuminare una superficie in una stanza. Al cinema è importante la posizione che occupi nella complessità del film, hai un ruolo, come il centrocampista a calcio… riesci bene quando conosci esattamente all’interno di quella sceneggiatura e di quell’idea di cinema che ha il regista, qual è il tuo ruolo. Attori si nasce o si diventa? Non si nasce né attori né qualcos’altro… il mestiere che fai è il risultato di tutte le altre ipotesi che hai sottratto alla vita. Non credo alle vocazioni, detesto chi dice: “Io sono Amleto”, ma quale Amleto! Non c’è una chiamata… è ridicolo dire: “lo sapevo da bambino che avrei fatto questo”! O quelli che dopo una recita, dicono: “Stasera Dio era con me!” Come se Dio quella sera si occupasse di un cretino che recita, e non avesse ben altri problemi da affrontare! Nel libro fa tenerezza il racconto di quando da ragazzo guardavi le commedie di Eduardo… La mia è una famiglia numerosa, e guardare il teatro di Eduardo in televisione tutti insieme, era una specie di rito. Io sonnecchiavo sulla sedia, ma nel dormiveglia mi accorgevo che quei bislacchi, quegli ignavi così ben rappresentati da Eduardo, in realtà erano uguali ai parenti che avevo alla spalle. Lì ho sentito per la prima volta quella dolce ferita che è il confine fra vita vissuta e vita rappresentata. Siamo una famiglia di magnifici spettatori, ed è un esercizio che non ho mai smesso di praticare, questo forse mi ha aiutato ad abbattere molti limiti del mestiere come la vanità e l'esibizionismo. Come è diventato l’attore feticcio di Sorrentino? Mi ha cercato lui, e, come ho detto già altre volte, penso che Paolo si è innamorato un poco, perché non saprei come spiegarlo diversamente. Perché se uno poi si fissa… è amore! Lavora spesso con registi più giovani, è solo un caso? Sì, ma devo dire che mi amo le opere prime, si respira una atmosfera un po’ aurorale, di affascinante sfida. Due Servillo artisti, lei e suo fratello Beppe, leader degli Avion Traverl. Che rapporto avete? Magnifico, e non siamo la famiglia di Al Capone però! Collaboriamo spesso. In “Lascia perdere Johnny” di Fabrizio Bentivoglio, e lo dico senza falsa modestia, mio fratello è molto più bravo di me… ma anch’io canto molto meglio di lui… In “Gomorra” è un camorrista. Ha avuto conflitti emotivi nell’accettare il ruolo? Assolutamente no. Conoscevo il libro di Saviano e Matteo Garrone; ho amato profondamente i suoi film. Quando è arrivata la proposta di Gomorra l’ho accettata subito, era troppo bella. E’ stato un motivo di orgoglio che fossi proprio io di Caserta a recitare un personaggio così. Le racconto un fatto… quando porto la spazzatura nella differenziata, mi vedo intorno una quantità di ragazzini con i cellulari che dicono: “tu fai la differenziata!” e ridono. Per loro in quel momento, non sono Toni, ma Franco, il personaggio del film, che fa la differenziata! Lei capisce… può essere educativo!

venerdì 17 ottobre 2008

alcune riflessioni sulla legge Gelmini

alla manifestazione ci sarò, anche se credo che non sia la partecipazione a fiaccolate o cortei che risolva le questioni. Io ho da lungo tempo detto gridato a gran voce contro questo governo, e contro i suoi illustri membri, non perché ritenga che chi li ha precedduti sia poi immune da colpe, ma perlomeno lo scempio a cui stiamo assistendo, ahimè inermi o quasi, è tale che qualcosa bisogna assolutamente fare. Io sono per una risposta in termini più "forti", non dico che bisogna passare alle bombe e ai colpi di stato, ma questi li vedo ben saldi sulle loro sedie, grazie anche al "popolo", mai così privo di occhi e di orecchi... per inciso, oggi ho appena scritto una recensione su un libro che parla della situazione italiana fra il maggio e l'agosto del 1945, si parla di un paese prostrato dalla fame e dalla guerra, che ha saputo rialzarsi e creare i presupposti per una paese civile, per libere istituzioni e quant'altro. Quello che più offende infatti di questa tremenda situazione di oggi, è proprio questo, che stiamo infangando anni di lotte che i nostri avi hanno combattutto per fare in modo che tutti avessimo l'indispensabile, la possibilità di accedere alla cultura tutti, come prima cosa. Se non altro dobbiamo evitare che il loro sangue sia stato dato invano! Baci a tutte, Gina.

alcuni dei miei articoli

Los Angeles incoronerà con l'Oscar il nostro Gomorra?Pubblicato in: Cinema di Luigina Dinnella - 14 Ottobre 2008
Dopo il trionfo al Festival del Cinema di Cannes, si è parlato, per l'ennesima volta, di una nuova stagione del cinema italiano, dato più volte per morto. Il merto è di "Gomorra",record di incassi al botteghino, ed oggi anche il candidato italiano selezionato per la corsa all'Oscarcome miglior film straniero. Quando lo incontriamo alla Casa del Cinema di Roma, in occasione di una retrospettiva a lui dedicata, questa notizia deve ancora arrivare. Garrone è un po' imbarazzato dalnumerosissimo pubblico accorso per conoscerlo meglio. Certo è grazie a Gomorra che tra qualche mese potrebbe aggiudicarsi la statuetta, ma Garrone non nasceoggi, aveva già fatto vedere grandi cose.Solo oggi la critica e pubblico sono stati sulla stessa linea, premiando il coraggio di fare un film difficile, tratto da un libro forte come quello di Saviano. Era una scommessa a rischio. Lui ci ha creduto; ha avuto fiducia nel paese e nelpubblico, che non è composto tutto da sciocchi, ed ha vinto, perché quando il cinema è fatto bene e parla di temi cari a noi tutti, la nostra coscienza civile e civica non può rimanere inerme.
Gomorra sta girando il mondo, ma cos'è per te questo film oggi? E' il mio film più difficile, sia per la difficoltà del progetto sia per i luoghi dove abbiamo girato. E' stato un progetto impegnativo; Gomorra rappresenta due anni della mia vita ed un'esperienza umana straordinaria. E' stato un viaggio duro ed emozionante. Ci spiega come è riuscito a romanzare un libro che è una sorta di saggio? Il libro non ha una trama vera e propria, ma ha un grande potenziale “visivo”, che ho cercato di sfruttare. Non c'era drammaturgia, ma è questa la forza di questo libro. La trama l'abbiamo inventata noi, estraendo dal libro le storie, fra le tante, che ci sembravano più interessanti, facendo delle scelte, sofferte, ma indispensabili.Da dove parte il tuo lavoro quando decidi di fare un film? Comincio sempre dai luoghi, li visito e li interrogo; la stessa cosa faccio con le persone, è sempre da lì che parto. Volio che l'attoreviva il percorso drammaturgico del personaggio, è da questopercorso che nascono molti suggerimenti ed idee. Io tradisco spesso la sceneggiatura, ed anche nella fase del montaggio rimetto in discussione tutto. Spesso, dopo il montaggio torno a girare. Qual è la parte che ti piace meno del tuo lavoro?Viaggiare per promuovere il film, come sto facendo adesso… e non solo perché ho paura dell'aereo. Con Toni Servillo com'è andata? Benissimo, non poteva essere altrimentiquando lavori con attori della sua intelligenza puoi fare tutto! Siamo diversi, lui è molto rigoroso, preciso, un grande attore. Toni quando è venuto sul set il primo giorno, conosceva già tutte le battute a memoria, temeva l'improvvisazione! Poi ha capito che neanche io amo improvvisare, ma do loro un percorso drammaturgico che devono vivere, e poi spero che all'interno di questo percorso accada qualcosa che li sorprenda, perché se loro si sorprendono mi sorprendo anch'io. Il suo successo a Cannes, insieme al collega Sorrentino, è stato definito per l'ennesima volta come il segno della rinascita del cinema italiano. Qual è la sua opinione.Tutti, ciclicamente, si riempiono la bocca sulla rinascita o sulla morte del cinema italiano, sempre con eccessiva ridondanza. Io credo che siano solo cicli fisiologici. Cosa le preme di più trasmettere con il suo cinema? Non voglio portare in scena la realtà, ma trasfigurarla, farla andare verso l'astrazione. Non so se ci riesco, e non posso spiegarlo, perché è legato alla percezione di ognuno di noi. Voglio che la mia mano sia invisibile, non ci si deve accorge del lavoro che c'è dietro, perché se lo spettatore se ne accorge, vuol dire che non sono stato bravo, perché sono diventato io protagonista, e non deve essere così.