venerdì 20 novembre 2009

Giovanni Allevi: musicista filosofo

Il merito di Giovanni Allevi è di aver reso la musica classica contemporanea meno snob e più popolare, il suo successo dimostra che ha saputo trovare la chiave giusta per comunicarla al grande pubblico. È un po’ clown, ma decisamente simpatico. Lo incontriamo in occasione dell’uscita del suo ultimo lavoro: Allevi & All Star Orchestra – Arena di Verona. Cominciamo la chiacchierata proprio da lì.
A settembre a Verona è stato un tripudio. Raccontaci le emozioni che hai provato…
Non sono un auto celebrativo, ma in effetti è stato un successo, anche se lo ricordo come uno dei concerti più stressanti che mi sia mai capitato di affrontare. Dirigere 87 elementi provenienti dalla più importanti filarmoniche del mondo, davanti a un pubblico di quasi 12 mila persone, mi ha messo addosso una pressione psicologica enorme. Il primo giorno di prove, mi sono trovato di fronte ai professori di orchestra che mi guardavano con gli occhi sbarrati, e ai loro colleghi italiani dicevano: ma è questo qua?! Probabilmente il mio aspetto e la mia età li convincevano poco. Il successo è segno che ci siamo piaciuti, e abbiamo lavorato bene.
Prevedi di dirigere la lirica in futuro?
Non si sa mai nella vita che cosa può accadere in futuro.
Ho toccato con mano il sommo piacere di essere un compositore che dirige la propria musica con l’orchestra; oggi per me è il massimo della gioia possibile. Affidarmi al repertorio lirico significherebbe uscire da questo percorso che ho intrapreso.
Da un punto di vista compositivo, parti dall’armonia, dalla melodia, o è solo istinto?
Io sono uno scienziato, sono rigorosissimo. In genere ho una melodia in testa e me la ripeto fino ad avere problemi di relazione sociale… dopodiché comincio a scrivere. Da ragazzino, quando componevo musica al pianoforte, scrivevo brani tutti uguali, perché la manualità mi condizionava, le dita andavano sempre sugli stessi accordi, sulle stesse melodie. Da quando mi sono affrancato dal pianoforte, i brani hanno iniziato differenziarsi fra di loro, e ognuno è diventato un mondo a se.
Tu e Ludovico Einaudi siete i pianisti e compositori più apprezzati dal pubblico italiano. Duetterete in futuro?
Personalmente non credo molto alla collaborazione musicale. Quando i miei miti musicali l’hanno fatto, da fan l’ho vissuto come un arrendersi. Però nella vita tutto è possibile.
Le critiche che Uto Ughi le ha rivolto erano snobismo di casta o che cosa?
Certo che è snobismo di casta, ovviamente. Ricevere degli attacchi così violenti non è bello, non fa bene a nessuno. Però, studiando la storia dei grandi compositori del passato, mi sono accorto che tutti coloro che hanno veramente creato un cambiamento profondo nella storia della musica hanno subito l’attacco violento di una parte dell’accademismo, che invece tende alla conservazione, a fare in modo che nulla cambi, che tutto resti immobile. In passato Puccini è stato accusato di essere un personaggio mediatico; lo stesso Mozart, quando ha composto la sua sinfonia 40, venne giudicato eccessivamente popolare. Beh, mi sono sentito in buona compagnia. La reazione del popolo degli Alleviani è stata grande, non ci sono state cadute di tono; hanno mostrato classe ed eleganza. Solo una bambina mi ha scritto: “spero che quest’anno la Befana porti al maestro Uto Ughi il carbone!”
Che consiglio dai ai giovani che si avvicinano al pianoforte?
Di non scoraggiarsi mai, di avere molta pazienza, ma soprattutto di essere molto indulgenti con se stessi. Devono pensare che al termine degli studi potranno suonare ciò che amano, ed è allora, quando non hai un professore che ti giudica, che il rapporto con la musica diventa straordinario e bellissimo.
Luigina Dinnella

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