venerdì 20 novembre 2009

Sturzo-Salvemini carteggio, di Giovanni Grasso

Antifascismo bianco

Il ringraziamento maggiore che dobbiamo rivolgere al giornalista Giovanni Grasso per la pubblicazione di questo suo libro, “Luigi Sturzo Gaetano Salvemini Carteggio 1925-1957” è quello di averci riportato, idealmente, ai tempi di un dibattito politico di altissimo livello, e a due straordinarie personalità, quella di Don Luigi Sturzo e Gaetano Salvemini, di cui nei tempi che viviamo se ne sente, stridente, il rimpianto. La stessa nostalgia che proviamo per quel senso di riflessione critica che ha caratterizzato un momento storico, probabilmente irripetibile, della società culturale italiana di quegli anni. Grasso ci racconta come, quello fra Salvemini e Sturzo, fu un confronto a volte aspro ma sempre leale e rispettoso dell’altrui pensiero, un dialogo che non si incrinò mai, nonostante il loro diverso modo di essere e di pensare. Anzi, sottolinea come la forza della loro dialettica risiedesse proprio nelle loro “diversità”, che non impedì loro di essere amici per oltre trent'anni, nonostante i dissensi ed le dure polemiche sul rapporto tra Chiesa e Democrazia. Salvemini, celebre storico, fu un meridionalista, socialista nei fini di giustizia, e liberale nel metodo usato, contrario ad ogni privilegio. Fu un uomo passionale, polemico, azionista, laico ed anticlericale, condusse in tutta la sua vita un'intensa attività volta alla formazione di un'opinione pubblica laica e progressista, e fu fra i precursori del liberalsocialismo. Don Luigi Sturzo era un sacerdote atipico, saldamente piantato in politica, fondatore del Partito Popolare Italiano, democratico e liberale, ed aveva un rapporto difficile con le autorità ecclesiali, al punto che fu considerato un "sinistro prete", tanto pericoloso da essere esiliato. Oggi lo definiremmo probabilmente un "catto-comunista". Entrambi denunciarono il malcostume politico e le gravi responsabilità della classe dirigente dell’epoca, ma quello che li accomunò più di ogni altra cosa fu il loro antifascismo, che costò ad entrambi l’esilio. Mentre gran parte del mondo accademico italiano s'inchinò al regime, il professor Salvemini, fu arrestato dalla polizia fascista nel 1925, e dopo esser stato processato scelse la via dell'esilio e si rifugiò dapprima in Francia, dove insieme ai fratelli Rosselli nel 1929 fu tra i fondatori del movimento “Giustizia e Libertà”, poi negli Stati Uniti. Luigi Sturzo decise, non senza forti sollecitazioni, di lasciare gli incarichi nel partito e si rifugiò dal 1924 al 1940, prima a Londra, a Parigi e poi a New York. A Londra animò diversi gruppi politici di italiani fuoriusciti e di cattolici europei. L’opera di Grasso, preceduta da un’introduzione ricca, frutto di una ricerca di archivio molto attenta e scrupolosa, ci racconta, utilizzando la prospettiva particolare delle lettere che i due si spedirono in oltre 30 anni, un importante pezzo di storia italiana, ed attraverso il racconto di queste due personalità, fa chiarezza sui rapporti tra antifascismo cattolico e antifascismo laico. Dalle lettere, raccolte da Grasso, emerge evidente, l'amarezza per la comune sconfitta politica, ma anche il loro pensiero su un domani incerto e difficile da interpretare. Grasso ci spiega come i due avevano in comune, oltre all’origine meridionale, l’amore per la libertà, e ci testimonia come la loro amicizia si sviluppò forte, nonostante fosse attraversata da controversie non facili da superare. Da questo animato dialogo, raccolto da Grasso, e pubblicato da Rubbettino Edizioni, emergono due figure esemplari e due eminenti personalità. Si tratta di ben 150 lettere, molte delle quali inedite, delle quali è interessante sottolineare alcuni passaggi, perché ci aiutano a capire i toni con cui “se le davano”, nulla di paragonabile alle bagarre cui assistiamo quotidianamente. Uno è quello in cui Salvemini insiste nel segnalare a Sturzo quali fossero, a suo giudizio, le grandi ed innegabili responsabilità del Papa Pio XI, che di fatto aveva autorizzato l'impresa in Abissinia: «Quando venne la vittoria in Africa, Pio XI ne gioì pubblicamente. Questa è la verità storica», dice Salvemini, «e un galantuomo come Lei non può mettersi contro la verità». Don Sturzo impetuoso, sempre si fa per dire, replica con tenacia, ringraziandolo per la critica, pur ritenendola infondata: «Lei s' immagina un Vaticano inesistente. Si vede bene che non è stato mai in contatto con gli abitanti di là della porta di bronzo». Ma né l’antifascismo laico, né quello cattolico riuscirono nell’intento di fermarne l’espansione, perché non seppero rimanere uniti nella lotta. Tra il 1925 e il 1929 la vicinanza tra Sturzo e Salvemini sembrava potesse tradursi in una saldatura tra antifascismo laico e antifascismo cattolico, ma il concordato del 1929 tra la Santa Sede e lo Stato italiano interruppe questo tentativo, ed anzi, il fatto che Don Sturzo non si fosse pronunciato contro il concordato, convinse Salvemini della inaffidabilità antifascista del cattolicesimo democratico, anzi lo ritenne incapace di svincolarsi dall’obbedienza gerarchica della Chiesa. A quel punto nessuna azione politica comune era più possibile, e con queste parole lo comunicò a Don Sturzo nel 1941: “non c’è nulla, assolutamente nulla, da aspettarsi nella lotta per la libertà e per la democrazia non appena il Vaticano scenda in campo per ordinare ad alcuni il silenzio e l’abbandono della lotta”. Addirittura, per Salvemini, esisteva una incompatibilità filosofica tra cattolicesimo e democrazia, e lo scrisse a Don Sturzo: “Io sono sempre stato convinto che Ella per le sue dottrine politiche e sociali è un giansenista. Ma questa dottrina giansenista è agli antipodi della dottrina cattolica. Io quando leggo alcune pagine dei suoi scritti dico fra me e me: ‘Io potrei sottoscrivere queste pagine. Ma non le sottoscriverebbe Pio XI’. Questo è il punto”. Dal canto suo, Sturzo osservava: “se è vera l’assunta incompatibilità della Chiesa cattolica con la Democrazia moderna, tutto si spiega con due e due fanno quattro; e se non è vera, come io penso, allora l’affare del Fascismo va rimesso in un quadro episodiale, come quello di ogni altra fase storica che passa la Chiesa nei suoi contatti con la società politica”. Per Sturzo il concordato non era un atto di “collaborazione politica” della Chiesa con il regime, ma piuttosto il tentativo di “normalizzare il Fascismo” influendo su di esso moralmente, conclusosi con un fallimento. Nelle parole di Sturzo è evidente la convinzione del “cristianesimo morale” di Salvemini e nel dicembre 1941 definì il suo anticlericalismo come “una lieve infiammazione temporanea, che con il suo buon senso farà presto sparire dalla mente, il cuore suo ne è intatto: ne sono sicuro!”.
Da questo carteggio emerge chiaramente che Sturzo non smise mai di cercare di “cristianizzare” l’anticlericalismo di Salvemini, il quale, dal canto suo, confessava a Sturzo nel febbraio 1942, che “essere anticlericale non significa essere anticristiano, ma essere più cristiano di cardinali, vescovi e papi”. In questa dialettica Grasso, prende posizione, e fra le righe si legge una difesa di Don Sturzo, quando fa intendere che non è vero che fece poco per contrastare i filo fascisti del suo partito, anzi sottolinea l’autore, non bisogna dimenticare, che in quel periodo, su pressioni della Segreteria di Stato Vaticana e dello stesso Pio XI, Sturzo fu fatto dimettere da segretario del Partito Popolare, e inviato in esilio, dove scrisse, sempre a parere dell’autore, parole molto chiare sulle compromissioni tra Chiesa e fascismo. E’ evidente, che alcuni atteggiamenti definiti di “reticenza”, non possono che essere legati al fatto che Don Luigi era un sacerdote, e non poteva spingersi oltre, non poteva abiurare la Chiesa, che invece amò sempre, nonostante i torti da essa ricevuti. Luigina Dinnella
Luigi Sturzo
Gaetano Salvemini
Carteggio (1925-1957)
A cura e con l’introduzione di Giovanni Grasso
Rubettino
A Cura dell’Istituto Luigi Sturzo
144 pagine
20 euro

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